Vernissage: sabato 7 dicembre, 2019 dalle 18.30
Sarà presente l’artista
Sede: VisionQuesT 4rosso
Piazza Invrea 4 r, 16123 Genova
Contatti: +39 010 2464203 +39 335 6195394 info@visionquest.it
Orario: dal martedi al sabato 15.00 – 19.00 e su appuntamento
La fotografia non semplicemente come strumento per restituire una realtà né per sintetizzare immagini del tempo, ma anche per voler aggiungere un capitolo ad un percorso più ampio di ricerca personale con il quale consegnare esperienze autobiografiche traducendole in temi universali.
Guia Besana riguardando i filmini super8 della sua infanzia e soffermandosi sul rivedere una scena dove lei viene trascinata da sua madre attraverso la pista e poi sull’aereo che scompare nel cielo, vuole rappresentare la paura di volare ma nel senso più profondo: la paura universale di non avere il controllo sul tempo.
Le sue immagini congelano “frames” di una narrativa più estesa quasi fossero frammenti di un film. In queste scene si percepiscono due tempi: un tempo dilatato nel quale i soggetti/oggetti vengono messi in scena in situazioni riflessive o immobili e un tempo più precipitoso nel quale i soggetti/oggetti vivono in uno stato di ansia o pericolo lasciando allo spettatore la libertà di interpretare la storia e collegarsi.
C’è qualcosa di solenne nell’atto di volare che conduce i pensieri in universi più personali ed intimi. Trasportiamo le nostre emozioni, le nostre vite e un bagaglio a mano dentro a un aereo. Ci sediamo fra estranei e lasciamo che le nostre percezioni vagabondino in diverse direzioni lasciando centrale l’idea di “tempo”.
Scrive Viana Conti nel testo del catalogo che accompagna la mostra e che verrà presentato durante il Vernissage:
“Con la sua personale Carry On, Guia Besana, Canon Ambassador dal 2016, restituisce in mostra, come nelle tessere di un mosaico, le proiezioni di un immaginario femminile in volo. Il suo mondo è quello della staged photography, quel mondo, ovvero, che urge nella mente dell’artista e che, a partire dall’inizio della mise en place dei suoi componenti, trasforma progressivamente l’illusione di un set artificiale in realtà: in un’opera potenzialmente in grado di suscitare emozione sensoriale in chi la guarda. Le chiedo al primo approccio: in che cosa ti senti artista contemporanea? Nella qualità e comunicatività della mia finzione, mi risponde.
[..] Il titolo Carry On della mostra realizzata per la gallerista Clelia Belgrado oscilla tra il senso letterale di bagaglio a mano e quello metaforico di un viaggio interiore in cui si affollano sensazioni di paura, di carattere contingente dovuto alle condizioni del volo, e proiezioni in un futuro visionario in cui, con passeggeri sconosciuti, si possa condividere la casualità degli incontri e il sentimento di un’intensa avventura collettiva. Osservando le labbra dischiuse della bella donna, dai grandi occhi azzurri, sembra proprio di sentirle sussurrare Together Forever…insieme per la vita.
Che la protagonista di queste proiezioni oniriche sia una giovane donna è immediatamente percepibile dalla tipologia degli oggetti personali sparsi sopra o ai piedi del sedile dell’aereo, sul rosa, morbido tessuto operato: borsette, un portacipria aperto, una collana madreperlacea, vari accessori di cosmetici, un reggiseno azzurro con pizzo francese valencienne bianco, una sacca color panna, lo spigolo scuro dell’immancabile bagaglio a mano, che intitola la mostra e il contesto. A giudicare dal bicchiere rovesciato, da una bottiglia di alcolici quasi vuota, non sono mancati neppure i tipici generi di conforto serviti su un aereo di linea. Accanto, tuttavia, a questo piccolo arsenale scomposto di oggetti d’affezione e seduzione, emergono, a un secondo sguardo, altri particolari, questa volta inquietanti, riflettenti un’inconfessata tensione della viaggiatrice. Si tratta dei mozziconi di sigarette addensati su un portacenere, di un simbolico puzzle con tasselli sparsi sulla moquette di un ritratto di donna dal volto allarmato, in parte scomposto in tessere. Nonostante il sorriso o il sonno dei compagni di viaggio, aleggia un senso di precarietà diffusa.
Nel linguaggio di Guia Besana non parlano solo i dettagli, ma anche i segni, le posture, la scelta degli abiti, i tessuti, le prospettive delle riprese fotografiche, i primi piani e gli sfondi. Parla l’immobilità, senza racconto, di oggetti e figure congelate in freeze frame in cui, imprevedibilmente, un soffio di vento solleva il bordo del vestito di organza della bionda Ragazza gialla/Yellow Girl che, accanto alla carcassa abbandonata del velivolo, si sgancia, con lo sguardo perso nel vuoto, la cintura di sicurezza, lasciandosi poi cogliere anche di schiena. Il racconto è nei suoi occhi assorti, sulle labbra inerti, nel degrado e nelle ossidazioni dell’immane corpo d’acciaio del reperto aereo che le sta al fianco e alle spalle. A ben guardare, si scopre spesso nelle mise en scène di Guia Besana la ricerca di mimetismo tra figure, ambiente, abiti, questi ultimi sovente in organza e a fiorami. Una prospettiva diversa intitola il relitto di un grande aereo di linea atterrato sui cespugli incolti di un campo in aperta campagna o ai margini di una città. La sua presenza imponente, al centro della scena, cerca lo sguardo dello spettatore con tutta una potenzialità inquietante e incongrua insieme, come un grande totem eretto al dio dell’aerodinamica. Nell’opera di questa artista convivono le componenti, di ascendenza freudiana, del Perturbante/Das Unheimliche, e quella di un’autoironia, presente in grandi registi cinematografici come Alfred Hitchcock. Si caricano, infatti, di un sottile humour certe sue staged photography di shock quotidiani come un inciampo sulle scale, deliri visionari come nell’opera in mostra Sweet, che presenta un ammaraggio, in aperto oceano, di una giovane donna in sottoveste con tanto di paralume e divano al seguito, o ancora in Him me and you l’autoidentificazione della fotografa stessa in un pilota in rigorosa uniforme, ma con la sua capigliatura bionda. Ironico anche il titolo The Conversation tra due donne di generazione diversa: nella proiezione immaginaria quella di una nonna morta a 97 anni senza aver mai volato né superato la paura del volo, e quella di sua nipote, l’artista nella fattispecie, entrambe in abiti accuratamente démodés, con borsette in nuance, pettinate con lo stesso chignon, in posizioni semifrontali o di schiena, poi simmetricamente ribaltate, riprese in un campo selvatico davanti al nostro monumentale relitto aereo abbandonato. Ancora proiezioni di un ego visionario e desiderante in Whimsy: una candida scia di condensazione che attraversa un cielo azzurro, in assenza dell’aereo svanito tra le nuvole, mentre in Wish On Snow si intravedono, in un campo innevato, resti di difficile identificazione. Sempre resti sono la collana/Necklace appesa a un tubicino della carcassa dell’aeromobile o quelli di The Red Tray, il vassoio rosso di un pasto bruscamente interrotto da un incidente su un terreno di possibile natura vulcanica. Quando l’avvenente hostess, che avanza con una bibita rossa sul vassoio, si presenta virtualmente ai viaggiatori dicendo My name is my name, non fa altro che annunciarsi con la locuzione tautologica il mio nome è il mio nome, niente di più di due frasi ripetute che ne cancellano l’identità personale e la confermano come vuota icona di un servizio.
Hai sperimentato – le chiedo – il bianco e nero? Sì – risponde – agli inizi, quando fotografavo le presenze quotidiane della mia vita, ma presto ho sentito l’esigenza di metterle in scena con i colori della realtà.
Negli scenari delle sue simulazioni è leggibile una componente performativa, un’azione ibernata, un’innaturale perdita dei sensi in un sonno simile spesso al deliquio, talvolta perfino alla morte per avvelenamento. Quando realizza una fiction, una staged photography, un set digitale, è la sua realtà che propone all’osservatore, mentre quando realizza un reportage è la realtà esterna che riprende, mediata, ovviamente, dalla modalità del suo sguardo e dalla sua fotocamera.
Sue opere spesso presentano atmosfere velate di malinconia, rinvianti a un isolamento della persona, a un affollarsi di immagini e film mentali assimilabili all’opera fotografica dello statunitense Gregory Crewdson, ma con un suo apporto autoironico, mentre in altre serie inserisce parti geometriche specchianti per ricostruire una sorta di automa femminile dal corpo in frammenti, condividendo virtualmente l’immaginario creativo dell’olandese Vivian Sassen. Le chiedo ancora: cosa ti emoziona del tuo lavoro? Il momento in cui – risponde – a opera finita, mi rendo conto, con sorpresa, che quanto non riuscivo a formulare razionalmente mi viene restituito dagli oggetti che ho assemblato sulla spinta di pulsioni inconsce.
Guia Besana afferma di vivere il linguaggio fotografico come la scrittura in progress di un suo diario. Concludo chiedendole: riesci a conciliare nella tua opera il concetto con l’estetica? Sì – mi risponde – equilibrandoli in un punto sospeso nell’indecidibile.”
Informazioni tecniche:
– Stampe ai pigmenti su carta fine art Hahnëmuhle Photo Rag, dibond e cornice
cm 62×82 e cm 92×122, edizione di 7 esempla
– Light Box cm 95x125x10, edizione di 3 esemplari
Biografia
Guia Besana – 1972, fotografa italiana attualmente vive e lavora a Barcellona, Spagna. Dopo studi in media e comunicazione a Torino, dal 1994 si dedica esclusivamente alla fotografia e nel 2004 si trasferisce a Parigi. Con un particolare interesse al tema dell’identità e al mondo femminile viaggia in diversi paesi e entra a far parte dell’agenzia Anzenberger nel 2005. Nel 2013 diventa membro della galleria Anzenberger con la serie « Under Pressure » e nel 2016 diventa membro della galleria 1968 (Londra). Il suo lavoro è regolarmente pubblicato su riviste e blog internazionali: New York Times,Newsweek,Huffington Post,Marie Claire,Vanity Fair,Le Monde, Courrier International, D di Repubblica, IO Donna, Esquire, CNN blog … Il suo lavoro è stato riconosciuto da numerosi premi internazionali: MIFA Moscow, Los Angeles LADCA, GRIN, MarieClaire International Award, AI AP, PWP – Professional Women Photographers, Julia Margaret Cameron Award , finalista al premio Leica Oskar Barnack. Con il suo progetto personale Baby Blues nel 2012 vince il premio Amilcare Ponchielli Grin e inizia a realizzare serie fotografiche di fiction. Le sue immagini sono state esposte in Virginia (Stati Uniti), Los Angeles (Stati Uniti), New York (Stati Uniti), Buenos Aires (Argentina), Italia, Francia, Spagna e Malesia. Guia Besana é Canon Ambassador dal 2016 e dal maggio 2019 è rappresentata in Italia dalla VisionQuesT 4rosso.