ORIGINI Carolina Cuneo Francesca Migone Riccardo Bandiera

Una “composizione a tre voci” che vuole raccontare, non solo attraverso la fotografia ma con le tecniche miste, il frottage, l’installazione, il collage, l’utopia di una necessaria, fondamentale relazione tra l’essere umano e il mondo naturale da costruire nel rispetto dell’energia vitale presente in un pianeta che pulsa e respira ad ogni battito. Una natura e nello specifico la Flora, che non può più essere considerata come oggetto in funzione di un eventuale profitto, ma come parte di un universo che respira insieme all’individuo. Legata alla storia della Terra nella continua, perenne ricerca di equilibrio con tutti gli altri esseri viventi, essa è alle origini della vita.

L’attenzione di Carolina Cuneo è focalizzata sugli alberi, archetipi di molte culture, che uniscono la terra al cielo, il sotto al sopra, il conscio all’inconscio, in una relazione in cui l’essere umano fa da tramite da sempre. Gli alberi invitano alla riflessione sul modo di porsi dell’uomo nei loro confronti e nei confronti del loro bagaglio simbolico. Gli alberi sono organismi attivi, senzienti ed intelligenti. Non si spostano o fuggono, ma si muovono e si adattano ai cambiamenti. Non possono prevedere cosa succederà, ma sentono in anticipo le minime variazioni dell’ambiente. Non possiedono organi specializzati, ma ogni loro cellula sente, pensa e decide. Gli alberi imparano e memorizzano, parlano della loro complessa vita sociale. Se sono ammalati o stanno morendo rilasciano nella rete che li connette, le loro risorse che potranno essere utilizzate dagli esemplari più vicini.

Per Francesca Migone fili di rame si intrecciano ad evocare le forme della corteccia dei castagni. Intessute in alcune opere con i fuselli nel punto tela, segnano la presenza quasi impalpabile della natura sul bianco del muro in simbiosi con tutto quello che riguarda l’essere umano, un continuo flusso di vita, crescita, espansione e movimento. Nata dall’interesse per le zone ibride nelle quali l’elemento antropico entra in contatto con quello naturale, l’installazione di Migone prende avvio nella primavera del 2021 dopo il lockdown e si sviluppa nel corso dell’anno dall’indagine sui boschi dell’entroterra genovese e dal ritrovamento nella casa di campagna dei fuselli appartenuti ad un’amica di famiglia. La mappatura delle cortecce dei castagni si è combinata con lo studio del saggio di M.Agnoletti, Storia del bosco e del paesaggio forestale italiano (2018), suscitando l’idea di trasporre le forme naturali con gli strumenti dell’antica tecnica del merletto in un materiale diverso dal filo tessile. Si è così innescato un processo di lavoro, che è proseguito in maniera quasi automatica, dando vita a questa rete quasi incorporea sospesa nello spazio espositivo, che pare una memoria dei lavori in filo di rame realizzati da Marisa Merz negli anni Settanta. Un’operazione metamorfica, un continuum di flussi permette di riconoscere, pur nelle differenze, l’importanza che il movimento riveste anche conc

ettualmente per le più giovani generazioni di artisti” scrive

Le opere di Riccardo Bandiera fanno parte delle serie Mono no Aware (物の哀れ) e a loro volta racchiudono il concetto estetico giapponese volto ad esprimere la forte partecipazione nei confronti della bellezza della natura e della vita umana, con una conseguente sensazione nostalgica legata al suo incessante mutamento. Incontriamo una ricerca e un’analisi basata sulla sensibilità emotiva, dove stratificazioni, leganti e frammenti di memoria, determinano scene che ci ricordano la caducità delle cose, come se tutto potesse essere destinato a passare o a morire. La persistenza e la raccolta di oggetti a confronto con la voluta rappresentazione di elementi della natura, nel caso specifico di un erbario artistico, portano l’artista a utilizzare fotografie che successivamente diventano qualcos’altro, sfidando la fragilità dell’esistenza, la ciclicità fatta di stagioni sempre uguali, ma pur sempre distinte solo da alcuni piccoli segni di memorie lontane. C’è sempre una trasformazione che ci porta ad esser migliori, diversi, cambiati, dove le ferite che portiamo dentro vanno mostrate e non nascoste, denotando la nostra resilienza, come non solo l’arte del kintsugi, ma la natura ci insegna..

L’esecuzione di questa“composizione a tre voci” dove, esattamente come nella musica, ogni voce ha una sua linea visiva melodica distinta, e dove tutte comunque interagendo fra loro, creano un effetto armonico e di contrappunto, ne ampliano i limiti, nel senso di una ribellione e di un rifiuto di un processo in atto, per seguire un percorso più naturale di rispetto, di meditazione e di rigenerazione in una sorta di consapevolezza e comunione universale.

le prime chiese sono boschi, molti fra i primi Dei sono grandi alberi,

e proprio sotto un albero il Buddha storico ottenne il suo “risveglio”. Valerio MAGRELLI